Descrizione
I quadarari
Dipignano deve la sua notorietà all’artigianato del rame, svolto dai suoi “MAESTRI RAMARI” sin al 1300.
I “QUADARARI”o “VARBOTTARI” erano mestieranti girovaghi, spiriti liberi, più per necessità che per natura, trascorrevano buona parte dell’anno lontani dalle loro case e dai loro affetti. In questo loro lungo pellegrinare, nel 1650, fuggiaschi per una fallita rivolta, arrivarono a Ponti (AL) dove chiesero “asilo politico” e furono accolti con calore dagli abitanti e dal feudatario il MARCHESE DEL CARRETTO. In cambio i quadarari costruirono un enorme paiolo in rame servito per il primo colossale polentone. A ricordo e per cementare quell’antica amicizia nel maggio del 1965 con una solenne cerimonia, la cittadina di Dipingano si è legata in gemellaggio con il BORGO ACQUESE. Infatti la SAGRA DELLA POLENTA risalda l’antica amicizia che lega le due cittadine.
I quadarari per comunicare tra di loro utilizzavano un tipico gergo detto “AMMASCKANTE”. Di questo gergo misterioso, ben custodito dai maestri ramari, si conosce poco. Sicuramente in questo linguaggio vengono utilizzati elementi estranei al comune dialetto. Per etimologia popolare il termine viene interpretato come << LINGUAGGIO CHE MASCHERA IL VERO SIGNIFICATO DELLE PAROLE >>. In realtà la parola AMMASCKANTE deriva da AMMASCARE termine dell’antico italiano <AMMASCARE ovvero comprendere>.
Il culto della Madonna della Catena di Laurignano
Secondo lo studioso Rocco Liberti, il culto della Madonna della Catena ha origini assai remote a Laurignano, tra l'ottocentonovantasei e il millequattordici (896-1014), periodo in cui la città di Cosenza e i paesi limitrofi furono devastati dai saraceni. Il culto si esprimeva nella raffigurazione di uno schiavo incatenato ai piedi della Vergine, atto ad implorare lo scioglimento delle catene, simbolo della piaga della schiavitù che colpiva i cristiani quanto i musulmani. Con l'avvento dei normanni, svevi, angioini, aragonesi e la conseguente cacciata dei feroci saraceni, si determinò una situazione di tranquillità in Calabria, a tal punto che il culto alla Vergine venne meno progressivamente in gran parte del Meridione, per riprendere nei secoli successivi, quando il sud fu assalito dalla minaccia turca. Ciò accadde per i paesi delle coste esposti maggiormente al pericolo dell'invasione, e non per l'entroterra, eccezion fatta per Laurignano, dove avvennero miracoli e visioni, fenomeni che mantennero viva la devozione a Maria Vergine. A Laurignano ci fu la ripresa di tale culto nel 1301 in seguito ad un miracolo della Madonna, operato nei riguardi di Simone Adami, il mendicante cieco di Laurignano, il quale scoprì poi in una chiesa abbandonata l'effigie della Madonna con il simbolo della catena. Ciò era segno dell'oblio dello stesso culto che conobbe una rifioritura nel secolo successivo, per merito dell'eremita Fra Cassiano e di vicende della quale fu oggetto la tela venerata, portata a Roma da un monaco florense di Mendicino (Cs) per essere sottoposta a restauro. Altre vicende, dovute a pestilenze e a terremoti, provocarono un nuovo abbandono del culto mariano, rimesso poi in auge nel 1833 per ispirazione divina da Fra Benedetto di Grimaldi (Cs), venuto a Laurignano per ritirarsi in preghiera e in solitudine.
C'è da notare che a Laurignano il legame con la persecuzione saracena non compare più. Nell'immagine, scoperta da Adami, è raffigurata una catena tra le mani della Madonna e non quindi di uno schiavo ai suoi piedi, come, invece è disegnata nell'immagine tradizionale comune. In epoca più recente, si nota che la Madonna con le stesse catene tiene legato satana. Tale particolare appare al nostro santuario.
Con Fra Benedetto, e ancor prima all'epoca di Simone Adami, non essendoci più la minaccia saracena, la Madonna fu invocata come liberatrice da ogni male, impersonato in satana, l'origine del male, rappresentato di conseguenza nelle immagini. Mentre in altri luoghi d'Italia il titolo di "Madonna della catena" venne cambiato in "Madonna del Soccorso", a Laurignano si è conservato il titolo della Madonna, in parte assimilata all'Immacolata. La catena lega ora satana, cui la Madonna, preservata dal peccato originale, schiaccia il capo. Il simbolo della catena al santuario si è ulteriormente arricchito: la catena che la Madonna stringe tra le mani è vista non solo come simbolo di scioglimento e di liberazione dal male (aspetto negativo), ma anche in senso positivo, di unione a Gesù. Il fedele a Laurignano invoca la Madonna soprattutto per raggiungere il senso stesso della propria liberazione, la comunione con Colui che è la fonte di ogni bene: Gesù. La Madonna diventa la via più ovvia e semplice per raggiungere il Signore. Attraverso la Madonna il fedele trova la comunione con Gesù, dal momento che ella è la Madre. Il fedele alla sua scuola potrà meglio capire il Figlio e raggiungere con lui il legame perfetto. Il titolo della catena, nella forma venerata a Laurignano, esprime in modo chiaro il ruolo materno della Madonna nei riguardi dell'umanità: aiuto nella lotta contro il male, difesa e guida del popolo cristiano nella via verso il bene, verso il Figlio Gesù.
Il Gemellaggio con Ponti e la Sagra del Polentone
Dipignano è definita la "Patria dei Calderai" per la fiorente arte dei maestri ramari svolta sin dal 1300. Correva l'anno 1571 quando un gruppo di calderai provenienti da Dipignano, paese del Cosentino, arrivò a Ponti, attirati dalla voce comune che dipingeva il Marchese Cristoforo Del Carretto, feudatario di questo luogo, come una persona di gran cuore. Giunti al borgo, infreddoliti ed affamati, i calderai chiesero ospitalità al Signore della "Casa Carretta"; egli, vista la loro capacità di stagnare, disse: "Se riuscirete ad aggiustare il vecchio enorme paiolo delle mie cucine, vi darò tanta farina gialla da riempirlo, in modo che possiate sfamarvi tutti." Voltò il cavallo e tornò al castello, lì giunto, diede ordine ai suoi servitori di portare il vecchio e malandato pentolone ai bravi stagnini che si misero alacremente all'opera facendolo tornare come nuovo. Cristoforo Del Carretto mantenne la promessa facendo recapitare agli affamati calderai un buon quantitativo di farina di mais; intanto gli abitanti del borgo avevano fraternizzato con i magnani venuti da lontano; ed ecco uscire dagli usci le brave massaie con le cocche del grembiule in mano: portavano chi uova, chi cipolle, chi merluzzo, e chi vinello dei nostri colli che dovevano servire per cucinare una frittata. La farina servì a cuocere un enorme polenta che affiancata da un altrettanto grande frittata, dono, questa, del buon cuore dei pontesi, sfamò gli infreddoliti magnani. E fu festa, così grande ed allegra da essere ricordata ogni anno.
Su queste testimonianze storiche nasce il gemellaggio tra Dipignano e Ponti e prende corpo la celebre " Sagra del Polentone", antica manifestazione risalente a ben quattro secoli fa. I cuochi di Ponti cucinano una Polenta di ben 10 quintali ed una frittata di 3000 uova con 150 chilogrammi di merluzzo e 300 chilogrammi di cipolle. Durante la sagra del polentone, oltre alla preparazione e distribuzione di Polenta e Frittata con Merluzzo, il tutto innaffiato con l'ottimo dolcetto delle nostre colline, si svolge il corteo storico con la rievocazione dell'incontro tra il Marchese Cristoforo Del Carretto e i Calderai.
Ogni anno circa tremila persone vengono a degustare la nostra Polenta e Frittata, e oltre a questa attività, propriamente di degustazione, i nostri turisti colgono l'occasione di poter visitare gli stand allestiti dai sempre più numerosi artigiani ed artisti locali. La manifestazione ha ricorrenza biennale, un anno si tiene a Dipignano e l'anno successivo a Ponti.
La processione dell'Ecce Homo tra spiritualità e leggenda
Le radici dell'appartenenza si alimentano agli umori profondi della memoria comunitaria e familiare, alla letteratura, al patrimonio dell'arte ma soprattutto all'espressione religiosa. Quanti amano Dipignano e le sue tradizioni religiose sanno benissimo che la devozione per l'antica scultura dell'Ecce Homo, dalla straordinaria bellezza e dalla possente drammaticità, è da sempre molto sentita dai dipignanesi. Se ne ha una riprova ogni anno nella preparazione e celebrazione della festa del 3 maggio. La devozione popolare raggiunge il suo momento più intenso con la processione del Santissimo Ecce Homo sul piazzale antistante il convento, voluta particolarmente dai contadini per invocare la grazia di un buon raccolto. Significativa la testimonianza degli anziani che raccontano come un tempo era veramente una fiumana di devoti vicini e lontani alcuni dei quali giungevano a piedi scalzi in segno di umiltà e penitenza dai paesi limitrofi. La gente di Dipignano ricorda il verde delle corone di spine, la fatica dei portatori del simulacro quando, per i sentieri tortuosi di "Ferdizza", s incamminavano verso il Convento dei Cappuccini.
Scrive lo studioso Giulio Palange: "Quando la siccità minaccia i raccolti i dipignanesi si mettono in testa un serto di spine, prendono dal santuario della Riforma il Santissimo Ecce Homo e lo portano in processione per le contrade. Il corteo segue sempre lo stesso percorso, e quanti reggono la statua sulle spalle, allorché sono in vista del Convento dei Cappuccini, ove è custodito un dipinto della Madonna, voltano l'Ecce Homo di spalle e lo rigirano solo dopo che il convento in questione non si vede più. Tale usanza, che potrebbe sembrare una stramberia ritualistica, ha. invece, una precisa ragion d'essere.
Anni fa, in occasione di una stagione particolarmente seccagna, fu eseguita come contromisura la rituale processione, ma quando il corteo giunse nei pressi del convento, l'Ecce Homo diventò d'un tratto cosi pesante che i portatori non ce la fecero più a procedere. S'avvicendarono portatori più freschi, si provò anche a far trascinare la statua da una pariglia di buoi. ma inutilmente, l'Ecce Homo non mostrava la seppur minima intenzione di volersi muovere. Che fare? E, soprattutto, perché quell'arcano? Intervennero alcuni frati, i quali, ragionandoci sopra, trovarono la spiegazione: poiché nel convento c'era il dipinto della Madonna, l'Ecce Homo, trovandosi ad un passo dalla propria madre, voleva restarle vicino e. quindi, era ricorso all'espediente di diventare pesante come una montagna. E solo a prezzo di preghiere, autoflagellazioni, accorate invocazioni, i frati riuscirono a convincere l'Ecce Homo che lì non poteva rimanere perché anche le altre contrade avevano bisogno di lui e del suo intervento miracoloso per far piovere: l'Ecce Homo ridiventò leggero e la processione potè riprendere. E da allora, ad evitare che la cosa si ripeta, prima del Convento dei Cappuccini l'Ecce Homo viene girato di spalle, così non s'accorge di passare vicino alla madre e non s'impunta per poterle rimanere accanto".
A parte la leggenda, magistralmente narrata da Palange, il folclore, le file dei devoti pellegrini, le lacrime, le preghiere, i disagi della montagna e del tempo molto spesso piovoso.,i piedi scalzi, le ginocchia trascinate per terra. i bimbi portati sulle braccia dalla mamme a vedere e baciare I Ecce Homo.,le offerte in denaro, gli sguardi protratti ed oranti verso la sacra scultura, le labbra mormoranti desideri del cuore, le dispute dei dipignanesi per portare a spalla il simulacro, gli assordanti mortaretti dopo la novena, gli uomini con i serti di spine sulla testa, i canti intrisi di pietà popolare e tante altre spontanee manifestazioni del ricco animo popolare, erano le espressioni di una spiritualità antica. L' uscita del simulacro del SS.Ecce Homo dalla chiesa costituiva e costituisce ancora il primo dei momenti più attesi. La statua viene portata a spalla dai devoti mentre si sentono canti, inni religiosi in dialetto, espressione di una fede schietta e commovente, e poi grida di esortazione che evocano un 'atmosfera fortemente suggestiva, s'innalzano come "Viva l'Acci Omu!" oppure 'E dicimulu ccu tuttu lu core: Viva 'u Santissimu Acci Omu !" La folla si accalca intorno al simulacro mentre i devoti asciugano il volto del Cristo con il fazzoletto che conservano come una reliquia I dipignanesi sono spinti da desideri di purificazione e spesso chiedono una guarigione o assolvono a qualche voto. Lo spettacolo di una grande folla che al passaggio dell'Ecce Homo prega e si commuove, e non è da sottovalutare. Dio solo può capire quello che ognuno sente nel proprio cuore in quei omenti. Molti hanno cambiato una vita sbagliata in un'esistenza migliore propio davanti al simulacro seicentesco dell'Ecce Homo che veniva portato in processione. Santa Teresa d'Avila,dottore della . Chiesa, diceva di essersi "convertita" guardando la statua dell' Ecce Homo collocato nell'oratorio in attesa dell'inizio di una festa religiosa. La processione del simulacro dell'Ecce Homo di Dipignano è simbolo di un profondo e radicato sentimento religioso ma anche di un'autentica tradizione tramandata di generazione in generazione. Ecco perché è difficile descrivere nella sua pienezza questa processione, si riesce solo a dare una lontana idea dello scenario mistico che si presenta a chi vi assiste: le emozioni, infattii non si possono raccontare, occorre viverle.
Al padre guanelliano Don Tino Donò (1941-1995) che visse tra le mura del convento di Dipignano dal 1989 al 1992. avevo descritto sommariamente lo svolgimento della festa dell'Ecce Homo. ma quando ebbe occasione di assistervi mi disse, pieno di ammirazione- "...non ho mai assistito ad una novena e a una festa religiosa come questa. Con mia grande soddisfazione, ho visto molto, molto di più di quello che mi hai raccontato. Ed lo che vengo da Dolo. in provincia di Venezia, sento l' esigenza di testimoniare: una festa così non l'avevo mai vista; e non solo per il folclore stupendo, ma per la vostra fede, per la spiritualità cosi intensa. Per tutto il novenario ho visto la chiesa della "Riforma" letteralmente stipata, e quanti Rosari. guanti canti antichi! E tutto questo quale significato assume? E' amore, è fede: la fede e la devozione che avete ereditato dagli antenati dipignanesi, figli di ramai. La parte sana della terra dipignanese fa muro intorno alle tradizioni dei padri, anche oggi. E voi dovete difenderla questa realtà popolare e religiosa e valorizzare queste tradizioni". Diceva Tuturo Bilotta. un anziano dipignanese assai devoto dell'Ecce Homo: "Noi dipignanesi rivediamo e riviviamo nella statua dell'Ecce Homo le gioie, le aspirazioni, le lacrime, le preghiere dei nostri avi e. in qualche modo, le vicende stanche della nostra terra".
Il novenario ripercorre un antico itinerario di spiritualità e testimonia e riafferma, ancora oggi, la coscienza di un popolo profondamente cristiano, legato alle pratiche devozionali e soprattutto al dolore del Cristo flagellato, con cui spesso identifica le proprie sofferenze. L'inno "Ecce Homo io lo vedo", cantato con il cuore gonfio di fede, il Rosario pure cantato e tante altre preghiere sono patrimonio spirituale e culturale di un mondo che forse oggi vive pericolosamente il crinale della dimenticanza, perché patrimonio di generazioni che stanno tramontando.
Questo mi spinge, attraverso anche questo articolo, a far rivivere insieme all'immagine del SS.Ecce Homo. utta la forza di una realtà culturale e spirituale che non deve andare assolutamente perduta, pena il grave impoverimento delle generazioni future, alle quali si deve raccontare, ma anche mostrare concretamente quanto i nostri anziani ci hanno tramandato.
Franco Michele Greco
La storia della comunità Valdese
- 1869 – Nasce Francesco Scornaienchi, fondatore della Chiesa di Dipignano.
- 1902 – ANNO DELLA CONVERSIONE di Francesco.
Fino al 1902 era un Fervente cattolico.
Era capo minatore nei lavori di costruzione della gallerie in Calabria. Insieme a lui lavorava un tale di nome Nicola Mandarino, di origine abruzzese. Questi era un cristiano evangelico.
In seguito Francesco partì per il Brasile per motivi di lavoro, ma purtroppo non trovò nulla di stabile. Nonostante le numerose lettere scritte all’amico Nicola, nelle quali lo informava della situazione lavorativa negativa in Brasile, questi decise ugualmente di seguirlo.
Nicola si recò in Brasile con l’intendo di evangelizzarlo e vi riuscì; infatti, Francesco dopo aver ascoltato un culto in una chiesa evangelica, decise di convertirsi.
Una volta tornato in Italia, non fu accolta con entusiasmo dalla famiglia ancora cattolica, ma Francesco spiegò i motivi che lo avevano spinto alla conversione e convinse anche i suoi familiari.
Egli teneva il culto in casa propria, nella camera da letto: giovedì e domenica culto pubblico, e tutte le sere culto familiare.
Francesco emigrò anche in Argentina, Canada, Stati Uniti e Africa. In Canada conobbe un certo Giovanni Paone, nativo di Aprigliano, al quale fece conoscere l’Evangelo e lo convertì. Quest’ultimo, al ritorno dal Canada, fondò la chiesa di Aprigliano, che però, dopo la sua morte non ebbe seguito.
- 1926-1934 (circa) – Il pastore dell’Opera Metodista Wesleyana Alfredo Franco, fondò la chiesa di Cosenza. Visitava anche la comunità di Dipignano.
- 1927 – Venne celebrato dal pastore Alfredo Franco il primo matrimonio evangelico a Dipignano tra Adelina Scornaienchi, figlia di Francesco ed Eugenio Presta.
- 1935-1940 – Venne mandato per visitare la comunità di Cosenza e Dipignano il pastore Filippo Napoletano. Questi si recava a far visita alla comunità di Dipignano una volta al mese, a causa dell’assenza di mezzi di trasporto. Quando non c’era il pastore, Francesco teneva sempre i culti nella propria casa.
- 1942 – Dal luglio del 1942, la comunità di Cosenza aderì alla Chiesa Valdese, in seguito agli accordi presi fra il presidente dell’Opera Metodista Wesleyana e la Tavola Valdese. Le comunità di Cosenza e Dipignano venivano visitate periodicamente dal pastore di Messina.
- 1945 – Le comunità di Aprigliano e Dipignano venivano visitate dal pastore di Cosenza.
A Dipignano le fraterne riunioni si tenevano in casa di Francesco Scornaienchi, vecchio discepolo del Signore.
Altri centri visitati in Calabria: Celico, Spezzano Piccolo, Spezzano Grande, Casal Bruzio, Catanzaro. Numero dei membri comunicanti circa 50.
- 1946-49 – Il pastore della comunità di Cosenza Giuseppe Scarinci, visitava anche la comunità di Dipignano.
- 1949-1959 – Il pastore di Cosenza Enrico Troia, visitava la comunità di Dipignano 2 volte al mese.
- 1953 – Muore all’età di 85 anni Francesco Scornaienchi. Adelina, la figlia più piccola, comprò la stanza dove Francesco predicava, mandando avanti l’opera iniziata da suo padre e a tenere i culti domenicali quando non c’era il pastore.
- 1959-61 – Il pastore di Cosenza Pietro Santoro, visitava anche Dipignano.
- 1961-62 – Le comunità di Dipignano e Cosenza venivano visitate dal pastore Mellone da Catanzaro.
- 1962-70 – Pastore Agostino Garufi. Aveva la sede pastorale a Cosenza ma si occupava anche di Dipignano.
- 1968 – A 13 anni dalla morte di Francesco Scornaienchi, si decise di costruire una chiesetta a Dipignano. Adelina donò il terreno e, con l’aiuto del pastore Friedrich Allinger di Pforzheim in Germania, e della Tavola Valdese, si fabbricò la piccola chiesetta.
- 27 ottobre 1968 – Inaugurazione della prima chiesetta a Dipignano. Culto presieduto dal pastore Enrico Corsani, allora sovrintendente del IV Distretto.
- 1970-1984 – Pastore Vincenzo Sciclone.
- 1983 – Il 25 settembre 1983, alla presenza dei pastori Vincenzo Sciclone e Salvatore Ricciardi, veniva inaugurato il Centro Culturale “Gian Luigi Pascale” a Guardia Piemontese. Due anni dopo, nel 1985, veniva ultimata “la Casa Valdese” ad esso adiacente, costituita da alcuni piccoli allogi.
- INIZIO ANNI ’80 – Nei primi anni ’80 venne acquistato in palazzo adiacente alla chiesetta valdese e la sede pastorale da Cosenza passò a Dipignano. Anche il locale di culto fu spostato nei saloni del palazzo e la chiesetta venne adibita a foresteria.
- 1984-1987 – Pastore Gianni Genre.
- 1985 – Venne inaugurato a Bethel il nuovo edificio. Il culto fu presieduto dal pastore Gianni Genre, allora pastore della comunità di Dipignano e Cosenza.
- 1987-1991 – Pastore Cesare Milaneschi.
- 1991-1994 – Pastore Teodora Tosatti.
- 1994-1996 – Predicazione affidata a Beatrice Grill della chiesa di Messina.
- 1995 – Venne acquistata, con l’aiuto della Tavola Valdese, la chiesa di S. Ippolito a Doviziosi (la borgata di Francesco Scornaienchi a Dipignano)
- 1996-1997 – Andreas Koën (allora studente in teologia).
- 1997-2002 – Pastore Leonardo Magrì.
- 2002-2003 – Le comunità di Dipignano e Cosenza vengono affidate al XV Circuito e si avvalgono della collaborazione della studentessa in Teologia Debora Bonnes.
- 2003-2004 – Le comunità di Dipignano e Cosenza continuano ad essere affidate al XV Circuito. Si avvalgono della collaborazione dello studente in Teologia Rosario Confessore e del pastore della chiesa di Pinerolo Paolo Ribet.
- 21 maggio 2004 – Inaugurazione del nuovo Tempio a Dipignano (ex chiesa di S. Ippolito).
Culto presieduto dal moderatore della Tavola Valdese pastore Gianni Genre.
La cerimonia viene filmata da Protestantesimo, la Rubrica Evangelica di RAIDUE.
Alla manifestazione partecipano molti fratelli provenienti dalle varie comunità Calabresi, dalla Sicilia e dal Piemonte; molti dei pastori che hanno svolto ministero pastorale a Dipignano e Cosenza; fedeli della chiesa cattolica locali; i rappresentanti del comune di Dipignano e di Guardia Piemontese, della Curia di Cosenza, e della comunità pentecostale di Cosenza.
La manifestazione si svolge in tre giornate, dove si allestisce un bazar e una mostra fotografica sulla storia della comunità. Nella serata precedente il Culto di inaugurazione viene presentato uno spettacolo teatrale sulla storia della Strage dei Calabro-Valdesi del XVI secolo a Guardia Piemontese a cura del Gruppo 80. Il Coretto dei bambini della Valli Valdesi allietano con i loro canti l’intera festa ed il Culto d’inaugurazione.